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I controlli GSE del 2015 sugli incentivi FER del 19 aprile 2016

Il DM 31 gennaio 2014 (c.d. Decreto Controlli) disciplina i controlli e le sanzioni in materia di incentivi nel settore delle energie rinnovabili. Tale decreto ha individuato le modalità organizzative e operative dei controlli, le attività in carico ai vari soggetti coinvolti, gli aspetti degli impianti oggetto di controllo e la lista delle violazioni rilevanti. In conseguenza dei controlli il GSE, qualora ravvisi irregolarità, può arrivare a disporre:
  • la sospensione degli incentivi;
  • la riconfigurazione della tariffa incentivante;
  • il riconoscimento parziale degli incentivi (solo per una parte del periodo di incentivazione);
  • fino alla decadenza dagli incentivi con l’integrale recupero delle somme già erogate.
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    Nel 2015 il GSE ha effettuato 3.464 accertamenti sugli impianti ammessi ai vari meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili e sugli interventi per l’efficienza energetica che hanno goduto di agevolazioni. I sopralluoghi e le verifiche documentali hanno riscontrato violazioni in 504 procedure, pari al 17,5% del totale. L’attività di controllo ha permesso di avviare il recupero di 106 milioni di euro di incentivi percepiti indebitamente dagli utenti e di evitare un esborso complessivo di 240 milioni di euro. A rivelarlo è l’ultimo rapporto sulle attività del Gestore dei Servizi Energetici.


    Lo scorso anno il Gestore ha effettuato il 10% di accertamenti in più rispetto al 2014 e per il recupero dei crediti il GSE a provveduto a notificare 24 decreti ingiuntivi. La potenza complessiva verificata ammonta a 5.320 MW. Per compiere gli accertamenti il GSE si è avvalso della collaborazione della Guardia di Finanza, che ha attivato un presidio fisso presso la sede del Gestore, ottenendo l’accesso al database degli impianti per accelerare le procedure di verifica e incrociare i dati. Per ulteriori informazioni o per assistenza in caso di criticità contatta lo Studio.


I controlli GSE del 2015 sugli incentivi FER del 19 aprile 2016

Le modifiche apportate dal Jobs Act allo Statuto dei Lavoratori continuano a regolare i controlli a distanza, apportando non trascurabili innovazioni alla precedente disciplina. La nuova normativa indubbiamente crea una maggiore integrazione tra il Codice Privacy e i limiti ai poteri di controllo.
Va detto, però, che rimangono presidiati dalla norma lavoristica due profili sui quali non possono interferire le norme sulla privacy. 

Arturo Maresca anticipa a IPSOA Quotidiano i temi che affronterà nel corso del Forum TuttoLavoro 2016, organizzato dalla Scuola di Formazione IPSOA di Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, in programma a Modena il 24 febbraio 2016. Il nuovo testo dell’art. 4 , L. n. 300/1970, come modificato dal D. Lgs. 151/2015, continua regolare i controlli a distanza, ma apportando non trascurabili innovazioni alla precedente disciplina. 
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    Benché sia venuto meno il divieto generale di utilizzare impianti audiovisivi e altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, l’ambito dei controlli leciti è comunque limitato in quanto il controllo a distanza può avvenire soltanto per le finalità indicate dalla norma, mentre si conferma l’illegittimità di controlli a distanza esclusivamente finalizzati al controllo della prestazione lavorativa. Si tratta di una conferma non scontata perché il legislatore avrebbe potuto innovare l’impostazione della norma ammettendo il controllo tecnologico sulla prestazione lavorativa, sia pure nel contemperamento con la dignità e riservatezza del lavoratore. Una soluzione, questa, che poteva anche prefigurarsi stante il tenore della norma di delega (art. 1, comma 7, lett. f, L. n. 183/2014). In base alla nuova normativa i controlli sono legittimi se finalizzati a esigenze organizzative e produttive, alla sicurezza del lavoro o alla tutela del patrimonio aziendale. Da tali controlli può derivare anche il controllo (preterintenzionale o indiretto) della prestazione lavorativa o di dati che ad essa attengono. Tra le finalità che legittimano il controllo è stata inserita la tutela del patrimonio aziendale che nel vecchio testo non era menzionata. La giurisprudenza era già arrivata a tale risultato.  


    Nel patrimonio aziendale rientrano non solo i beni materiali, ma anche beni immateriali che talora hanno valori importantissimi (es. il patrimonio delle conoscenze tecniche e commerciali). Alcuni commentatori hanno affermato che tale norma assorbe il concetto di controllo difensivo che era a presidio dei beni aziendali. Non è proprio esatto, in quanto il controllo difensivo resta in essere come controllo della condotta illecita che non è detto colpisca solo il patrimonio aziendale. Per tali controlli la tecnica di legittimazione adottata è sostanzialmente conforme alla vecchia normativa, cioè sono subordinati al previo accordo sindacale o al provvedimento amministrativo, salve alcune novità di non trascurabile rilievo sui soggetti sindacali e sull'ambito territoriale degli accordi.


    Resta fermo che è possibile richiedere l’autorizzazione amministrativa solo qualora l’esito del confronto sindacale sia negativo: occorre pertanto necessariamente passare attraverso la trattativa.  Poiché il nuovo 3° comma dell’art. 4 precisa che i dati raccolti possono essere utilizzati a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, e quindi anche disciplinari, è possibile che il sindacato continui a chiedere di escludere l’utilizzo ai fini disciplinari, ma senz'altro l’autorizzazione ministeriale non potrà escluderlo in quanto contravverrebbe alle disposizioni di legge.


    Il 3° comma dell’art. 4 costituisce la norma nevralgica della nuova disciplina, perché rappresenta la norma di contemperamento tra l’esigenza di controllo e la tutela della dignità e riservatezza dei lavoratori. Impone al datore di lavoro che si voglia legittimamente avvalere dei dati acquisiti di rispettare due condizioni:

    • procedere all'informazione preventiva su modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, rispettare il Codice della privacy.
    • La filosofia della nuova normativa è che i dati acquisiti in modo lecito sono utilizzabili, anche ai fini disciplinari, ciò anche per superare il paradosso che si era venuto a determinare nel precedente contesto normativo quando la difficoltà di utilizzare i dati raccolti ai fini disciplinari aveva spinto la giurisprudenza a costruire in via interpretativa la categoria dei c.d. controlli difensivi, ritenuti estranei all'ambito di applicazione dell'art. 4 e ricondotti nell'alveo dell’art. 3 della L. 300/1970.

    L’utilizzabilità dei dati anche ai fini disciplinari oggi è espressamente ammessa dall'art. 4 sul presupposto del contemperamento del potere di controllo con la dignità e la riservatezza del lavoratore. Tale contemperamento si realizza con la trasparenza del controllo: il lavoratore deve essere preventivamente informato in merito ai controlli che vengono effettuati. Gli deve essere rappresentato in modo chiaro a quali controlli è sottoposto. Va sottolineato che l’informativa sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli non coincide con l’informativa relativa alla privacy, ma ha una funzione diversa perché abilita il datore di lavoro a utilizzare i dati acquisiti a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, compresi quelli disciplinari.  Non è escluso che tale informativa e quella di cui al Codice della privacy in futuro si possano unificare, ad es. per i neoassunti. 


    Certo è, però, che l’informativa privacy assolve ad un’altra funzione e non è sufficiente ai fini dell’utilizzabilità dei dati ai fini disciplinari.

    Riguardo alle modalità con le quali deve essere data l’informativa è indubbio che essa debba realizzarsi in modo tale che il datore di lavoro possa darne prova. Dunque deve essere scritta e documentabile. Può essere soddisfatta attraverso canali telematici, purché tracciabile. Occorre poi che l’informativa sia riferita a tutti gli strumenti utilizzati per lavorare (ricadenti nel 2° comma), non potendosi ipotizzare un’unica informativa onnicomprensiva, che diverrebbe illeggibile e non soddisferebbe l’esigenza della trasparenza dei controlli. La nuova normativa indubbiamente crea una maggiore integrazione tra il Codice privacy e i limiti ai poteri di controllo di cui all'art. 4: si deve ritenere che non sono consentiti tutti i controlli, ma solo quelli proporzionali, pertinenti e adeguati in base ai principi applicativi del Codice della privacy indicati dal Garante. Va detto, però, che rimangono presidiati dalla norma lavoristica dell’art. 4 due profili sui quali non possono interferire le norme sulla privacy:

    • le finalità del controllo – sono quelle previste dall'art. 4 (i dati possono essere utilizzati a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro) e quindi il Codice privacy non può limitare le finalità, ma semmai la misura del controllo;
    • l’informazione – è affrontata dalla legge in modo chiaro, si tratta di una comunicazione del datore di lavoro al lavoratore, non è previsto alcun consenso.
Per saperne di più, scrivete allo studio legale di Torino! 
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